Genio artistico tra i maggiori di tutti i tempi, Pablo Picasso è internazionalmente conosciuto per le sue tele, per la sua pittura e scultura cubista; purtroppo, sono molti ad ignorarne la grande produzione ceramica oppure a ritenerla secondaria. Le oltre 3.000 ceramiche, tutte pezzi unici, realizzate da Picasso nell’arco della sua carriera, rappresentano un lavoro enorme ch’egli affrontò come un’incessante sfida volta a sovvertire il sistema delle Belle Arti esistente. Un processo creativo uguale a quello seguito per le sue sculture e dipinti, a riprova di come la ceramica di Picasso non sia un sottoprodotto della sua attività artistica ma, al contrario, un mezzo attraverso cui viene espressa a tutto tondo la propria creatività, e fondamentale per comprenderne l’opera globale.
Utilizzò principalmente oggetti esistenti della produzione standard del laboratorio di Madoura a Vallauris, presso cui lavorò per venticinque anni dal 1946 al 1971, o di opere personali della proprietaria Suzanne Ramié – come piatti, brocche, vasi – trasformandole attraverso la pittura, ma non dimenticando di integrare la loro forma originale nell’accezione finale e il peso della tradizione che esprimevano nel significato della sua opera. Molte delle ceramiche di Picasso riflettono, infatti, una delle sue maggiori istanze artistiche: il rapporto tra oggetto e immagine che si traduce nell’integrazione o trasformazione di oggetti in opere d’arte. Come testimoniano alcuni pezzi in mostra, recuperò ad esempio mattoni rotti, a cui attribuì, con straordinario estro, volti di donna. Picasso non solo rielaborò forme esistenti, ma ne creò anche di nuove. Attratto dalle possibilità tattili della manipolazione, intervenne su oggetti appena usciti dal tornio del ceramista Jules Agard modificandone la forma: venivano trasformati in vasi “donna” o in colombe, come documenta il video storico di Luciano Emmer del 1954 (Picasso a Vallauris), proiettato nella sala espositiva della mostra. Comodamente seduto di fronte allo schermo, il visitatore può ascoltare e vedere Picasso al lavoro che, col suo consueto senso dell’umorismo, svela particolari curiosi del suo operare. A proposito della metamorfosi di bottiglie d’argilla in colombe, ci colpisce ad esempio con la frase: “Per fare una colomba bisogna iniziare strizzandole il collo”.
Come la produzione ceramica del genio spagnolo sia parte indissolubile di tutta la propria arte appare da diverse ceramiche, in cui molte delle risorse utilizzate non provenivano soltanto dalla tradizione, ma anche dalla sua esperienza di pittore, incisore, scultore. Diversi sono i temi già rappresentati in pittura, litografia, nei disegni, quali i due piatti con scene di giostra, oppure la lastra con la Menina, appartenente alla serie di 56 dipinti su questo soggetto del 1957. Viceversa, la sua esperienza con la ceramica influenzò le opere successive realizzate in altri linguaggi artistici.
Da genio e innovatore qual era, Picasso non si limitò, tra l’altro, all’adozione di tecniche tradizionali, ma rivoluzionò la pratica abituale, utilizzando metodi poco ortodossi. Ciò che non sapeva lo inventava, attingendo alla sua conoscenza di altre discipline artistiche e alla sua notevole intuizione. Picasso visse la ceramica come una sfida creativa, un campo artístico tutto da esplorare, che lo condusse a numerose scoperte. Inventò ad esempio l’originale opera grafica in ceramica: dalla sua esperienza di autore di stampe, formulò il concetto di impressioni originali su lastre di argilla (empreintes originales). Opere stampate su cui dipingere diverse varianti uniche furono presto prodotte come edizioni originali numerate di Picasso. “Repliche autentiche” erano invece riproduzioni autorizzate delle opere dell’artista, di cui alcuni esempi esposti in mostra.
Picasso desiderava che la propria arte arrivasse al grande pubblico e si distaccasse dal dominio esclusivo dei suoi collezionisti. Le sue ceramiche e, in particolare, queste edizioni gli permisero di raggiungere l’obiettivo: d’altronde la ceramica – con oggetti che facevano parte della vita quotidiana – era una forma d’arte popolare, capace di contribuire a creare una maggiore vicinanza con l’arte moderna.
Una sezione speciale della mostra non poteva, infine, non essere dedicata al rapporto tra Picasso e Faenza: diversi sono i pezzi dell’artista che il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza possiede. In seguito all’ingente bombardamento alleato del maggio 1944, l’allora direttore Gaetano Ballardini – nonché fondatore del Museo faentino – contattò, con una commovente lettera, Picasso a Madoura e sollecitò Tullio Mazzotti di Albisola, Gio Ponti e i coniugi Ramié a richiedere alcuni manufatti al Maestro per la ricostruzione delle Collezioni d’arte ceramica moderna andate distrutte, nonché per un’esposizione a Faenza. Fu così che, dedicato espressamente al Museo, Picasso donò al MIC nel 1950 il piatto ovale raffigurante la Colomba della Pace, memento contro ogni guerra. Seguirono poi, nel 1951, altri piatti con teste di fauno e vasi dal sapore arcaico e archeologico, ed il grande vaso Le quattro stagioni, graffito e dipinto, con la raffigurazione pittorica e morfologica di quattro sinuose figure femminili. Un ricco apparato didattico e fotografico integra poi la mostra con documenti, lettere, ritagli di giornale e fotografie appartenenti all’archivio storico del MIC, mai esposti fino ad ora. Suggestive le gigantografie di Picasso che abbracciano la visuale del visitatore, quasi a voler rimarcare il reale intento del Maestro di voler avvicinarsi con le sue ceramiche al grande pubblico.
Febbraio 2020
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