Architettura come paesaggio
(Novembre 2024) | Dalla Bibliotheca Alexandrina, al Teatro dell’Opera di Oslo con il tetto panoramico accessibile – insignito del Premio Mies van der Rohe e dell’European Prize for Urban Public Space – fino ai recenti interventi a Milano, Snøhetta – fondato nel 1989 da Craig Edward Dykers e Kjetil Trædal Thorsen – è oggi coinvolto in progetti in tutto il mondo tra architettura, paesaggio, design degli interni e brand design.
Il filo conduttore che unisce tutti i progetti dello studio “è l’approccio olistico che considera l’architettura come un paesaggio costruito, un paesaggio che definisce uno spazio architettonico, articolato anche socialmente, aperto a nuove possibilità. I team sempre multidisciplinari cercano di trovare una soluzione armoniosa in relazione ai rispettivi contesti locali del paesaggio, della storia e dell’ambiente sociale”, puntualizza Tommaso Maserati, approdato a Oslo dopo la laurea in Architettura ambientale al Politecnico di Milano.
“La transdisciplinarità permette un più ampio conglomerato di conoscenze, esperienze e idee di confluire nel processo costruttivo, convinti che un progetto non sorga mai da un solo autore, ma sia sempre il risultato di un lavoro congiunto. È quello che noi chiamiamo Collective Intuition”.
Perché la scelta del nome Snøhetta?
“Ci chiamiamo Snøhetta perché prende il nome della omonima montagna, che si trova nel parco naturale di Dovre, nel cuore della Norvegia. Questa montagna è importante soprattutto perché rappresenta lo spirito del nostro studio, che non si rifà ad una persona ma più ad un luogo, ad un contesto. Ogni due anni, con tutti i colleghi che lavorano nelle sedi in tutto il mondo, ci troviamo per fare una gita verso questa montagna. È un momento per stare insieme, per conoscere i colleghi, un incontro significativo emblematico del nostro spirito collettivo.
Il progetto del Teatro dell’Opera di Oslo (2008) vi ha consacrato all’attenzione internazionale: un progetto in cui l’architettura diviene paesaggio e spazio pubblico; inoltre, i suoi elementi strutturali, come il tetto e la hall, creano un legame con la città.
“Sì, corretto, il design dell’edificio e quello del landscape, nel progetto si sovrappongono (come in molti altri nostri progetti). L’edificio offre la possibilità di arrivare fino in cima camminando sulla superficie inclinata della rampa continua che si articola lungo l’edificio. Questa estensione dello spazio pubblico genera momenti imprevisti e interessanti (la gente la usa anche per concerti, per sessioni di yoga e, per gli intrepidi, anche per sciare!) e rende il compito difficile per la municipalità nel definirla una sala per concerti o una piazza pubblica”.
Hai lavorato al progetto di ristrutturazione di Pirelli 35, che è stato uno degli edifici simbolo del centro direzionale della Milano degli anni Sessanta, originariamente ideato dall’architetto Melchiorre Bega.
“Abbiamo avuto la fortuna di vincere un concorso con Park Associati per la trasformazione dell’ex sede Telecom a Milano. Si trova nell’area di Porta Nuova, accanto a uno degli edifici più iconici di quell’area, il Pirellino. Il progetto cerca di fare interagire architettura, paesaggio e progettazione urbana per creare un edificio che, ricucendo un pezzo di città, si apre e si rende accessibile al pubblico. Abbiamo iniziato cercando di preservare il maggior numero possibile di elementi della struttura dell’edificio esistente e di liberarla da quegli elementi che lo rendevano claustrofobico. Un altro obiettivo importante per noi è stata l’idea di definire un nuovo spazio pubblico: per questo è stata creata una nuova corte verde che in qualche modo attivasse la permeabilità su tutti i fronti. Per quanto riguarda l’aspetto architettonico, abbiamo cercato di approcciare il progetto come un elemento solido ed elegante che vuole adattarsi, non essere d’impatto. Al di là di aver preservato la maggior parte dell’edifico, sono stai aggiunti anche un volume che “fluttua” sopra l’ultimo piano e un nuovo edificio ponte che si innesta all’edificio esistente e crea un nuovo fronte su via Bordoni in continuità di scala con gli edifici residenziali attigui”.
A Milano hai lavorato anche al progetto di recupero dell’Ex Macello nel quartiere Calvairate a Milano, selezionato come uno dei siti principali per Reinventing Cities, un concorso con l’obiettivo di rigenerare e fornire nuove visioni per parti abbandonate della città. In collaborazione con diversi studi e partner italiani, la proposta di Snøhetta, Aria, ha vinto il concorso a luglio 2021.
“Il masterplan che abbiamo pensato diventerà un nuovo quartiere che ricucirà l’attuale tessuto urbano frammentato e si collegherà all’infrastruttura esistente di aree verdi. Attraverso l’uso di tecnologie all’avanguardia, e un programma di iniziative dedicate ai cittadini, Aria diventerà un quartiere che punta alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Aria è destinata a diventare la prima Carbon Negative Area del Comune di Milano”.
Nel complesso, ciò che emerge con forza dal Progetto ARIA è lo sforzo costante verso il mantenimento della memoria sociale, oltre che storica, dell’ex Macello. Per decenni fonte di reddito per il quartiere, è diventato poi, per vent’anni, un parco spontaneo abbandonato a se stesso. Un esempio evidente del tentativo di dare valore all’ex Macello si è visto durante il Fuorisalone, quando diversi padiglioni sono stati aperti al pubblico.
“Questa nuova parte della città ospiterà diverse funzioni che includeranno unità di social housing e di residenza libera, uffici, un’università, un asilo nido, servizi per il quartiere, attività commerciali. L’obiettivo sarà quello di promuovere la biodiversità urbana, sociale e culturale sfruttando soluzioni progettuali implementate nel masterplan. Anche qui il landscape avrà un ruolo essenziale, non solo come elemento decorativo/paesaggistico ma soprattutto come strumento per ridurre e assorbire le emissioni di CO2. Una “macchina” dove piante e sistemi naturali purificheranno gli spazi esterni filtrando gli inquinanti atmosferici, fitodepureranno e rinaturalizzeranno le aree aperte, regoleranno e tratterranno l’acqua; non solo, ma anche l’ingente quantità di terreno aiuterà nello stoccaggio della CO2”.
Un altro tra gli ultimi progetti realizzati è Čoarvemátta, una nuova struttura condivisa dal Teatro nazionale Sámi Beaivváš e dalla scuola superiore Sámi per allevamento di renne, due importanti istituzioni culturali dell’area di insediamento Sámi di Sápmi.
“Čoarvemátta si trova a Kautokeino, nel mezzo del Finnmarksvidda, l’altopiano più grande e settentrionale della Norvegia. Il nome deriva dalle parole Sámi “čoarvi” e “mátta”, che significano “corno” e “radice”, che caratterizzano la parte più forte delle corna di renna, spesso utilizzate nei duodji, nei tradizionali mestieri e prodotti artigianali Sami. La forma dell’edificio nasce dall’idea di creare un volume unificato per il teatro e la scuola e di riunire le funzioni attorno a un punto centrale di condivisione e aggregazione. Sono stati presi anche elementi dalle tradizioni edilizie Sami: il lucernario nel vestibolo, la struttura di supporto visibile e il tetto unificante con la sua forma morbida che si apre verso l’ingresso. Volevamo che l’edificio fosse il più vicino possibile alla natura. Čoarvemátta è un edificio passivo, con una ottima qualita dell’aria e temperatura interna e un fabbisogno energetico estremamente basso. Sono stati utilizzati materiali naturali come legno e pietra, l’edificio segue le forme del terreno e il tetto è stato spinto fino a terra per incontrare il landscape. Quando esci dal lavvu (un tipo di tenda tradizionale), sei direttamente nella natura, nel paesaggio. Gran parte del progetto ha quindi riguardato la creazione di una strategia su come l’area può essere rimboschita, tornando a circondare l’edificio dopo la fine del periodo di costruzione”.
Hai collaborato anche al progetto di UNDER, il primo ristorante sottomarino d’Europa, che è stato inaugurato nel 2019.
“Under significa ‘sotto’, ma in norvegese vuol dire anche ‘meraviglia’: abbiamo lavorato molto per creare un oggetto, un edificio, che in qualche modo fosse il più spettacolare possibile. È un ristorante semi-sommerso con vista sottomarina, che si trova nel sud della Norvegia. Racchiuso in un guscio di cemento di 34 m, Under è collocato sulla riva e inclinato affinché per cinque metri rimanga al di sotto della superficie dell’acqua, appoggiandosi al fondale marino. È situato nel punto più a sud della costa norvegese, dove l’abbondanza di biodiversita rende il ristorante anche un centro di ricerca per la flora e fauna marina. Il nostro cliente ci ha chiesto se fossimo interessati a fare questo ristorante subacqueo, che lui immaginava direttamente di fronte al suo albergo. Dopo la visita abbiamo però deciso di realizzare il progetto in un altro sito, sempre di sua proprietà ma un po’ più distaccato rispetto all’albergo. Il progetto ha un carattere molto monolitico, alcune persone l’hanno paragonato ad una balena, dato il colore. La matericità poi in qualche modo riprende materiali, colori e texture che fanno parte del contesto della costa norvegese. Questo grande guscio esterno, abbastanza duro e monocromatico, in realtà è in contrasto con gli interni, dove i materiali sono molto più morbidi; vi è un uso massiccio del legno, con forme molto più organiche. Dalla grande finestra di 11 x 3.4 metri si possono osservare tantissime specie marine, una grandissima quantità di alghe, ma anche meduse e pesci, dai colori che non ci si aspetta di vedere in Norvegia. Tutti questi colori e queste forme ci hanno influenzato nell’elaborare una palette, utilizzata non solo per curare l’architettura degli interni del ristorante, ma anche le sedie, addirittura le posate, e soprattutto la parte di brand identity, quindi ad esempio il sito internet, il menu. È stato un progetto totale, che ha riassunto tutta la nostra creatività”.
La struttura di Under è stata progettata in modo da integrarsi nel corso del tempo all’ambiente marino, dato che la ruvidità del guscio in cemento fungerà da barriera corallina artificiale accogliendo patelle e alghe. Snøhetta dà sempre molta importanza ai materiali del progetto. Recentemente hai portato avanti una ricerca sul recupero della plastica delle reti da pesca che ha permesso di produrre la sedia S-1500. Cosa ne pensi delle potenzialità future del materiale ceramico?
“Qualche anno fa in studio abbiamo fatto un progetto di ricerca sull’argilla. È stata una bella occasione per lavorare e sperimentare con il materiale. Abbiamo anche costruito un piccolo laboratorio con tornio e forno e prodotto una libreria di diversi mattoni con composizioni, aggregati e smaltature diverse. Credo infatti che la potenzialità più grande del materiale ceramico non sia da cercare nel lato estetico (anch’esso molto interessante) ma principalmente nelle qualità intrinseche del materiale stesso. Il fatto che sia composta da argilla la rende un componente architettonico altamente reperibile e con un forte carattere “locale”. Contesti diversi possiedono tipi di argilla differenti. In aggiunta, come abbiamo avuto modo di sperimentare, il modo in cui viene trattata produce degli output diversi, rendendolo un elemento fortemente radicato al contesto, non solo naturale ma anche culturale. A questo proposito, usare la ceramica vuol dire guardare al passato (l’argilla è uno dei materiali da costruzione più antichi mai usati dall’uomo) per poter progettare un futuro che tenta di guardare alle risorse in modo più consapevole. I processi di produzione della ceramica sono infatti sempre più efficienti e sempre più spesso i materiali vergini vengono usati in quantità estremamente ridotte. Infine, come accennavo precedentemente, la ceramica è un materiale molto versatile dal punto di vista formale ed estetico”.